Una giovane donna si toglie la vita in Calabria con l’acido muriatico. Una morte violenta e dolorosa per una madre che aveva deciso di collaborare con la giustizia e per cercare di uscire dalla morsa della ‘ndrangheta.
Il suicidio è l’atto estremo di chi cerca una soluzione alla propria disperazione. Per chi sa che il proprio gesto libererà i propri figli e gli renderà più semplice il futuro.
Una madre che preferisce morire e salvare così ciò che ha di più caro.
Non la pensano così però i genitori della giovane Maria, 31 anni appena.
Per loro lei è morta perché “spinta” in modo ingannevole a collaborare, con promesse non mantenute:un messaggio per chi deve capire. Noi non siamo dalla parte della giustizia. Siamo con voi, con i boss, con la ‘ndrangheta. Quante e quali pressioni devono aver ricevuto per rinnegare pubblicamente il gesto della figlia suicida?
E soprattutto l’altro messaggio è: non vi affidate alla giustizia e ai magistrati perché non mantengono le promesse, meglio la ‘ndrangheta, l’antistato, più corretta e leale.
Sembrava che queste storie fossero alle spalle. Mi ricordo la madre di Rita Atria che spaccò la lapide della figlia per dimostrare che lei era diversa. Penso alle donne di Cosa Nostra che bruciavano i vestiti dei mariti pentiti. Sembrava tutto lontano ed invece la verità amara che “loro” hanno ancora un potere di vita e di morte sulle persone che li circondano e lo Stato, soprattutto in Calabria, non appare un interlocutore credibile.
Questa storia ci riporta indietro e riporta indietro anche lo Stato, quello stesso Stato che spesso ha due pesi e due misure con i collaboratori e testimoni di giustizia. E così ha buon gioco l’antistato che nelle terre più devastate dalle mafie può continuare a dire “Affidatevi a noi, siamo più sicuri, più forti, più leali”.
Quante Maria ci vorranno per cambiare le cose?
(pubblicato su www.malitalia.it)