Como. Veduta Lago. Una delle più belle ville del territorio, Villa Venegoni, sede di un incontro che ha quasi il sapore di una famosa partita di calcio: quell’Italia-Germania che tenne incollate due nazioni, per ore, nel lontano 1970. La partita che si gioca a Como però di sportivo ha solo lo stile e la classe con la quale investigatori, magistrati e giornalisti italo-tedeschi si sono incontrati ed hanno diviso esperienze, metodi, linguaggi. Si gioca tutti contro la ’ndrangheta, una delle più potenti mafie al mondo, forse la più potente equiparata ad Al Qaeda ed inserita dagli Stati uniti nella black list delle associazioni criminali più pericolose.
Ma da Duisburg in poi i due Paesi, Italia e Germania, si sono dovuti spesso confrontare su metodi, mezzi e strumenti. Che spesso non sono gli stessi, che hanno regole diverse. Due mentalità a confronto. Gli italiani forse più vocati ad un’analisi, anche filosofica del fenomeno, e che spesso parlano dello stesso come una mamma può parlare del proprio figlio. Ne conosce tutto il corpo, finanche le parti più interne, le viscere. Lo possiede. I tedeschi più schematici, pragmatici, cartesiani nelle loro vedute. E con in più l’occhio di chi le cose le vede dal di fuori senza implicazioni, diciamo “passionali”, di chi vive sulla propria pelle, ogni giorno, la devastazione di questo cancro su una regione come la Calabria ma non solo, come dimostra l’affare Di Girolamo.
Investe la Nazione, l’Europa in generale. Tanti sono stati gli incontri della due giorni sicuramente il più interessante è stato proprio quello su “la penetrazione della ’ndrangheta in Germania” dove investigatori e magistrati si sono confrontati su passato, presente e futuro. Francesco Forgione, riportando i dati della Commissione antimafia da lui presieduta sino al 2008, ha paragonato il «modo di espansione e di organizzazione delle famiglie ’ndranghetiste proprio alle cellule di Al Qaeda.
Sottolineando che le famiglie prima seguivano i flussi migratori ma che oggi seguono i flussi finanziari. La ’ndrangheta controlla pezzi dell’economia italiana ed europea con un alto livello di pervasività».
A questa affermazione i giornalisti, soprattutto tedeschi, hanno esclamato: «Noi per fortuna possediamo il mezzo delle intercettazioni telefoniche». Questa battuta probabilmente non sarà stata molto gradita dal nostro ministro dell’Interno che insieme a quello della Giustizia sta cercando, in tutti modi, di bloccarle e forse ci riusciranno (impedendo così di coprire truffe nella sanità, pedofili e magari qualche “pasticcio” come il G8). Ma una delle dichiarazioni più interessanti viene da Thomas Jungbluth, direttore dell’Autorità federale per la criminalità della Nord Reno-Vestfalia: «Duisburg ha portato per la prima volta ad una coscienza diffusa della criminalità organizzata. Ma le nostre autorità e gli organi di sicurezza nella nostra Regione lavorano già dagli anni 80. Abbiamo fatto veramente tante indagini».
Jungbluth insiste sul fatto delle «difficoltà di svolgere indagini senza casi e fatti concreti: a volte ci sono delle informazioni da parte delle autorità italiane, ma mancano dettagli e fatti concreti. Un ostacolo è il segreto istruttorio in Italia e ci vorrà un metodo per aggirarlo per una migliore cooperazione. Noi non possiamo accusare nessuno in maniera generica perché appartiene ad una famiglia calabrese». Ma la sua grande perplessità è una sola: «Non basta colpire il corpo del male, bisogna tagliargli la testa, altrimenti è tutto inutile!» La testa della ’ndrangheta è oramai però un coacervo di interessi finanziari-economici-politici con tante collusioni e contiguità che si è disposti a battersi per la parte armata ma nulla si fa “per la testa del pesce” e per l’acqua in cui nuota. Troppo pericoloso.
È questo forse il rimprovero che viene dalle parole di Jungbluth. Ma d’altra parte abbiamo magistrati italiani, come Nicola Gratteri (che non era presente a Como) che dicono che l’Europa è completamente impreparata a rapportarsi al fenomeno ’ndrangheta. Il procuratore generale di Francoforte, David Ryan Kirkpatrick, che si occupa di vari filoni di reati di mafia in Germania e quindi anche di mafie russe, polacche, rumene e albanesi, sottolinea, in modo chiaro che – nel contesto di reato di associazione mafiosa e sequestro di beni – è importante «trovare i nessi tra organizzazione criminale e affari, per esempio i caroselli di evasione fiscale per il riciclaggio di denaro sporco» e dice «In Germania, chi fa parte di una organizzazione criminale, è poi responsabile con tutto il suo patrimonio e la legislazione tedesca, anche senza un esplicito reato di associazione mafiosa, è sufficiente per perseguire i reati di stampo mafioso».
Insomma un duello fatto di norme e anche di un diverso approccio al fenomeno. Come dice la collega Constanze Reuscher, che è stata la moderatrice della partita, e che vive oramai in Italia da circa 20 anni, è stato proprio l’incontro di due mondi e anche due linguaggi investigativi. Ognuno con la sua importanza.
Certamente con qualche frizione, con qualche rimostranza o rimbrotto ma con chiarezza del nemico e dell’obiettivo da raggiungere. In conclusione però c’è una buona notizia. Il ministro Maroni ha confermato che in media, ogni giorno, in Italia, vengono arrestati 8 latitanti. A conti fatti entro 2 anni tutti gli appartenenti alle cosche saranno in carcere. Possiamo dormire sonni tranquilli e anche la ’ndrangheta, quella finanziaria, delle banche, della politica. Loro possono stare sereni, non sono latitanti, sono cittadini “normali”.