Con la dissoluzione della Jugoslavia si identificano diversi eventi che nei nell’arco degli ultimi 10 anni del secolo scorso hanno portato alla fine della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e alla nascita di Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Slovenia e Macedonia del Nord.
L’assedio russo a Mariupol, città simbolo del conflitto in Ucraina, le immagini delle fosse comuni a Bucha, sobborgo di Kiev, fanno tornare alla mente il lungo assedio di Sarajevo, la “Gerusalemme d’Europa”, cominciato trent’anni fa e che rappresentò nella sua atrocità quel conflitto da Medioevo nel cuore dell’Europa.
Sono passati trent’anni dall’inizio di quella guerra che sconvolse l’Europa e le fece capire quanto fragile fossero ancora le democrazie uscite dalla Seconda Guerra Mondiale.
La Bosnia-Erzegovina di oggi deriva profondamente dalle decisioni prese a Dayton: è uno stato unitario diviso in due entità federali
Su Sarajevo dalle colline circostanti piovevano granate, centinaia, una media di 300 al giorno. L’approvvigionamento era l’immenso arsenale accantonato in quasi 50 anni dalla Jugoslavia di Tito.
A dirigere e dettare il ritmo dell’assedio, dell’artiglieria pesante e di ogni altra atrocità di quegli anni erano Radovan Karadzic, lo psichiatra diventato il leader politico dei serbo-bosniaci, e il comandante militare, il generale Ratko Mladic aiutati da Zeliko Raznatovic, il comandante Arkan “il signore della guerra”.