Questa storia inizia da lontano. Dal 1970 e dalla fine della guerra del Vietnam e dai barconi pieni di profughi in fuga da una guerra ingiusta,lunga,atroce. In quel frangente Padre Arrupe,allora Superiore della Compagnia di Gesù, i Gesuiti, capì che bisogna occuparsi di loro. Nacque così il Jesuit Refugee Service che ha come obiettivo accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati e degli sfollati, tutti coloro che sono allontanati dalle proprie case a causa di conflitti, tragedie umanitarie o violazioni dei diritti umani.”Rifugiati de facto” includendovi molte categorie di persone in situazioni simili. Ma lo spirito è quello dei fratelli gesuiti negli ultimi 460 anni. Uomini in cammino, pronti a cambiare residenza, occupazione, approccio.
E un uomo in cammino è Padre Giovanni Ladiana. Uomo semplice che fino a 26 anni ha lavorato come muratore, ha scaricato cassette, ha fatto il bracciante. Un uomo che la vita l’ha conosciuta “Quando hai fame qualsiasi lavoro va bene purchè fatto bene”. Un uomo recalcitrante alla pubblicità (altri si getterebbero a pesce). Di se stesso dice “SchienaRottaMaRitta”.E’ uomo di parole dirette,chiare. E dopo aver servito a Catania, in uno dei 70 centri dei Gesuiti per i rifugiati (altri sono a Roma,Vicenza,Padova,Palermo,Trento) nel 2004 è arrivato a Reggio Calabria dove il centro è gestito dalla Comunità “Vita Cristiana” che si occupa di migranti dal 1994. In questo centro ogni martedì e venerdì c’è un ambulatorio medico dove arrivano extracomunitari legali e clandestini. E arrivano senza paure. Padre Giovanni ci dice “Tutti sanno e tutti chiudono un occhio. D’altra parte siamo di fronte agli uffici della Procura”. E chiudono un occhio perché la loro attività è anche un’attività di prevenzione sanitaria,e non solo, nei confronti anche della città.
“Qui arrivano persone che scappano da situazioni difficili, abituati a fare una vita grama,miserabile. Hanno bisogno di riscatto”. E Padre Giovanni,la Comunità come gli altri centri per i rifugiati, offrono questa possibilità di riscatto. Con delle regole precise. Lui si impegna ,in prima persona, per i migranti. Fa tre colloqui e poi quando trova il lavoro fa da garante ma chiede un impegno ai migranti, la disponibilità a lavorare. Per 3 mesi li aiuta,”ma senza mai dare dei soldi”, con alimenti, vestiti. Alla fine dei tre mesi si tirano le somme. Se però il migrante ha perso il lavoro, non si è impegnato non potrà più bussare alla porta di Don Giovanni. Il suo motto è “Quando hai di fronte ad una persone che soffre rispondi alla sofferenza che vedi o rispondi alla tua paura”. E questa frase è alla base anche delle sue battaglie contro la ‘ndrangheta e il crimine. E questa è un’altra storia che ha bisogno di un altro racconto. Perché mentre scrivo queste poche righe su di lui è in strada a fare volantinaggio per l’assemblea che si terrà a Reggio Calabria con Libera il 24 gennaio.Un uomo in cammino,sempre.
(pubblicato su malitalia.it)