Appalti, il “cuore” del problema

“Tangentopoli  è servita, purtroppo, per migliorare il sistema di corruzione soprattutto negli appalti”. Questa frase, riportata da Nando Dalla Chiesta all’interno di un dibattito su legalità e sviluppo,  la dice lunga su qual sia la situazione oggi nel settore. D’altra parte  su tutti i giornali, in questi giorni, campeggia  il racconto delle vicende che riguardano il presidente Berlusconi ma anche i meccanismi a cui si  è ricorsi per arrivare ad avere appalti, lavori o comunque favori.

Un tempo c’era la segretaria che per fare carriera assecondava le voglie del capo ufficio. Una volta c’erano le case chiuse dove si andava a cercare qualcosa di eccitante e diverso. Oggi tutto questo si è fuso in un sistema di feste, pranzi e cene cambiando anche ruolo e nome a chi le requenta.

Insomma il marketing applicato alla realtà: cosa vuoi? Le donne? E io le metto sul mercato e faccio il prezzo ( un’opera pubblica, una concessione, un vitalizio, un seggio in parlamento).

Ma tornando agli appalti sono sempre stati vitali nell’economia del nostro Paese, dal dopoguerra in poi. Basta ricordare le scene di “Mani sulla città”, film di Francesco Rosi del 1963 e di come veniva gestito lo sviluppo della città.

E dopo sono arrivati i Mario Chiesa, i Craxi, i Gardini , le grandi imprese di opere pubbliche. Nel 1987 si inizia a parlare di “turbativa d’asta”, del cartello che gestiva le gare dell’ANAS e che si divideva i lavori su tutto il territorio nazionale. Tra le imprese di allora qualcuna oggi ha veramente il predominio di alcuni settori di lavori. Allora le riunioni tra imprenditori sembravano quelle dei carbonari, si chiudevano le buste tutti insieme in qualche angolo buio. Poi pian piano non si è  avuta più paura e allora, magari sotto qualche ufficio pubblico, ci si ritrovava, alla luce del sole, per decidere come far andare una gara. Poi arriva Tangentopoli. Mani pulite sembra aver spazzato via il marciume. Ma non  era vero. Il baratto, lo scambio, l’arte di arrangiarsi e fare favori in cambio di qualcosa sembra quasi connaturato al carattere degli italiani.

 Il piccolo imprenditore vuole diventare sempre  più grande e allora si avvicina a quello un po’ più forte di lui, cerca di entrare nel suo giro. Poi capisce che “oliando” un po’ la macchina può avere dell’altro. Inizia così il vortice della corruzione e della collusione. La famosa frase di Franco Evangelisti, deputato DC, “a Frà che te serve?” è diventato il dogma degli appalti, il motivetto che accompagnava lo scambio di favori. E nel tempo di  perfezionato l’ingranaggio. E’ sempre più difficile trovare la prova della corruzione, ma non impossibile e come diceva Giovanni Falcone “follow the money” (segui i soldi)!

La crisi sta intanto stritolando il Paese, il sistema economico, quello creditizio ( con buona pace delle banche che sono state salvate e lo saranno ancora a scapito dei loro clienti). I piccoli sono sempre più piccoli e i grandi sono oramai dei pescecani.  Sono così forti da sentirsi sicuri di poter fare qualsiasi cosa: da manipolare una gara, da potersela costruire a propria immagine e somiglianza ( e questo lo si ritrova anche nei concorsi pubblici). Ma soprattutto sono così forti perché il sistema italiano non dà certezze a chi deve ricorrere alla giustizia. Burocrazia, tempi lunghi ma anche costi così elevati che alla fine rinunci a fare ricorso. Con l’ultima manovra finanziaria un’impresa è  costretta a pagare un contributo unificato per la richiesta di ricorso ad un atto amministrativo, che da luglio ad agosto è passato  da 2.000 euro a 4.000 euro ( solo per  le spese di bolli e carteggi vari). Poi ci sono poi le spese legali. E questo equivale a dire che anche se c’è stata una ingiustificata aggiudicazione (chiamiamola così) se non hai abbastanza soldi da opporti vincerà chi ha imbrogliato.

Quindi se prima, diciamo venti anni fa, comunque il senso di legalità e la voglia di opporsi al malaffare era forte oggi serpeggia lo scoramento per una situazione che sembra senza uscita: solo se hai soldi puoi combattere. E la sensazione che la frase “la legge è uguale per tutti” sia una beffa per chi voglia vivere e praticare la legalità.

 

(pubblicato su www.malitalia.it e su www.lindro.it)