L’ingestione anche di una boccata di acido muriatico provoca la perforazione dell’esofago, un necrosi molto rapida del mediastino, sede di molte delle arterie principali. Causa emorragie e un rapido collasso. La morte sopraggiunge molto velocemente e con una dolorosa agonia.
Così, sinteticamente, un gastroenterologo dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma mi ha spiegato cosa vuol dire suicidarsi con l’acido muriatico. Nella sua lunga carriera clinica ha visto solo 3 casi del genere, tanti quanti ce ne sono stati in Calabria dal 16 dicembre 2010 (Orsola Fallara), passando per il 16 aprile 2011 (Tita Buccafusca) e per finire il 22 agosto con Maria Concetta Cacciola.
Tornata da Rosarno ho cercato di capire, in maniera scientifica, cosa può essere successo ad una giovane donna di 31 anni. Che tipo di depressione, quali sollecitazioni, quali pressioni ti spingono a bere l’acido muriatico, che provoca subito un intenso bruciore, che ti spinge a vomitare e ad urlare per il dolore. Perché si sceglie di farlo nella casa dei propri genitori e sapendo che a questo dramma assisteranno i tuoi figli.
Non ci sono risposte certe ma sicuramente ci sono dubbi, ombre, perplessità che la magistratura dovrà dissipare.
Provo a ragionare a voce alta.
Prima ipotesi: Maria torna a Rosarno nella speranza che la sua famiglia, e soprattutto sua madre, possano capire il suo gesto e magari, chissà, pensa di portare via anche i suoi figli. Non immagina ciò che l’aspetta. Un muro che la rigetta, che la rimprovera ,che le rinfaccia quello che ha fatto :“collaborare con lo Stato”, il nemico. Le pressioni si spingono a sfiorare i suoi figli, carne della sua carne. Coloro per i quali lei ha scelto di saltare il fosso perché possano avere una vita diversa dalla sua. Le pressioni sono così forti e lei vede così in pericolo i suoi figli che decide di “togliere” il disturbo e lo fa in modo drammatico, atroce. Perché una mamma potrebbe giungere ad un gesto simile per tutelare la propria prole. E lavorando su questa ipotesi si può supporre che qualcuno l’abbia indotta a questo gesto. E chi può essere stato?La madre, donna e madre anche lei, che magari conosce bene i punti deboli della figlia?
Seconda ipotesi: Maria deve avere e deve essere di lezione per molti. La sua morte deve diventare un manifesto mafioso. E quindi l’acido, che mangia tutto, una morte dolorosa che deve cancellare “lo sgarro” e dimostrare anche la lealtà della famiglia alle regole d’onore. Come si nasconde un omicidio in un suicidio? Una sedazione, un imbuto, una cannula nel naso….Ma anche qui tutto si concentra su una figura: la madre di Maria Concetta. Semmai questa ipotesi potesse essere verosimile,come ha potuto assistere all’omicidio della figlia?
Questi due scenari fanno però emergere, in maniera forte e determinata ,il ruolo delle donne nel crimine organizzato. Sono loro che possono fare la differenza tra legalità e illegalità, tra giusto e ingiusto. Sono loro che educano e indicano la strada ai propri figli e sono anche loro che decidono se devono vivere o morire.
E’ la mamma di Maria Concetta che, il giorno dopo la morte della figlia, scrive ad un quotidiano regionale per dire che è stata “tradita dallo Stato” che ha abusato della sua “fragilità psicologica”. Con queste parole segna l’appartenenza della sua famiglia all’antistato e nello stesso tempo parlando di “fragilità psicologica” è come se sminuisse totalmente quanto detto dalla figlia ai magistrati. Un po’ come dire “non ci stava con la testa”, che è quello che spesso si dice quando non si capisce il gesto o il modo di comportarsi di una persona . Ed è sempre la madre che deposita in Procura una registrazione della figlia, fatta qualche giorno dopo il ritorno a Rosarno, dove la giovane donna declassa le sue dichiarazioni ai magistrati quasi ad una ripicca per le restrizioni familiari a cui era soggetta. Ed è sempre la madre, attorniata da familiari ed avvocati, a parlare e ad alimentare l’idea di uno Stato “che non mantiene le promesse”. Un’accurata regia comunicativa (che fa esclamare ad una collega di una rivista “ma qui parla solo la famiglia!”), quasi una sceneggiatura da film. Purtroppo è la realtà della Calabria di oggi.
Dove, nonostante la ‘ndrangheta sia cresciuta economicamente e sieda anche, sotto diverse forme, nei consigli di amministrazione di banche e grandi imprese, ancora si muore per aver tradito la famiglia. Dove l’emancipazione, da una vita non scelta, ha un costo molto alto tanto alto da scoraggiare anche le piccole ribellioni. Da rendere sempre più difficile passare dall’altra parte, quella dello Stato.