“Spero che la ricerca non venga interrotta per continuare a vivere nei miei successori e soprattutto, spero, che qualcuno possa trovare la verità, per non vanificare me e millenni di generazioni umane”. Queste sono parole di Attilio Manca, nato il 20 febbraio del 1969 e morto a Belcolle di Viterbo sempre di febbraio, l’11 del 2004. Urologo, nato a San Donà di Piave ma cresciuto a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Medico affermato tanto che nel 2001 esegue al Policlinico Gemelli di Roma il primo intervento prostatectomia radicale per via laparoscopica in Italia. Lo descrivono pieno di amici e di donne. Ma decide di suicidarsi. Lui, mancino, lo fa con la mano destra.
La scena del delitto parla di un uomo disteso sul suo letto. In un lago di sangue, il volto tumefatto e due fori sul braccio sinistro. Nella sua abitazione vengono ritrovate due siringhe, e diversi farmaci. Il riscontro autoptico parla di una miscela di droghe, tranquillanti e alcol. Insomma un tossicomane che si uccide. La Procura fa quindi richiesta di archiviazione. Ma c’è qualcosa di strano: intanto come può un mancino uccidersi con la destra? Perché un uomo di successo come il dott. Manca decide di uscire di scena? Perché ha lasciato la casa in perfetto ordine mentre gli attrezzi del suo mestiere, pinze ago e filo, sono sparpagliati sulla scrivania? Dal primo momento i familiari non accettano la tesi del suicidio. Ci sono troppi punti oscuri. Punti che, ricostruiti dal penalista Fabio Repici, portano nel 2006 il Gip di Viterbo, Gaetano Mautone, a riaprire il caso. Infatti gli inquirenti non riescono a fare luce sulle ventiquattro ore precedenti la morte di Attilio Manca. Scompare dalla sera del 10 febbraio: disdice una cena con i colleghi e non si presenta a Roma, l’11, per un incontro il professor Ronzoni, il suo mentore. Ma il 11 febbraio, poche ore prima di morire, Attilio chiama i suoi genitori chiedendo esplicitamente alla madre di far riparare con urgenza una moto che tiene parcheggiata in un garage della casa al mare nel paesino di Tonnarella. Una richiesta strana , visto che Attilio la userà solo nel periodo estivo. E bisogna però dire che questo piccolo paesino di 900 anime è ,però, un luogo importante per la mafia siciliana. Qui si è visto, spesso, passare un anziano signore che, come si legge in un’intercettazione della sorella del boss Bisignano, “tutti sapevano chi era lui”.Lui era Bernardo Provenzano, che in qualche modo entra anche con la storia di Attilio Manca. Un altro dubbio viene dalle impronte ritrovate in casa del medico, tra cui quelle del cugino Ugo, persona conosciuta alle forze dell’ordine. Lui dice che le può aver lasciate il 15 dicembre in occasione di una sua visita al cugino. La mamma di Attilio, Angela, dice che non può essere perché lei è stata a Natale a casa del figlio e ha pulito ogni cosa. Impronte che, dunque, hanno resistito alle pulizie e all’umidità del bagno dove sono state rilevate. Inoltre bisogna ancora capire perché il cugino Ugo Manca tenta, il 13 febbraio, di entrare nell’appartamento di Attilio per prendere degli abiti (secondo la sua versione), e di fare pressione, sul magistrato che segue il caso, per il rapido dissequestro della sua salma . E ancora perché Angelo Porcino, attualmente in carcere per tentata estorsione con aggravante mafiosa, è andato a trovare Attilio Manca a Viterbo ? Solo per un consulto? Ma c’è un particolare, una strana coincidenza, su cui la signora Angela ha sempre cercato di fare luce. Nell’autunno del 2003 Attilio parte per la Francia, per assistere ad un intervento chirurgico, come dirà ai suoi genitori. La coincidenza è che nell’ottobre del 2003, si opera di prostata a Marsiglia, l’allora latitante numero uno di Cosa Nostra: Bernardo Provenzano “zi Binnu”.Ed è su questo che Angela Manca vuole la verità. Capire se è stata solo una coincidenza o se c’è dell’altro. E’ una domanda che si fa da sette anni e che si fa ogni mattina quando, anche con il sole e il caldo di questi giorni, alle 9 di mattina è già al cimitero per portare il buongiorno a suo figlio.
Dallo scorso 16 Luglio 2010, giorno in cui il Gip dott. Fanti si è riservato di decidere sulla terza richiesta di archiviazione avanzata dal PM dott. Renzo Petroselli, Angela attende di sapere cosa ne sarà dei suoi dubbi e perplessità:
1) non sappiamo se sulle due siringhe ci sono le impronte di Attilio,oppure di altri ,o se non ci sono impronte ( magari Attilio ha usato i guanti per iniettarsi la sostanza letale );
2) non conosciamo il nome dell’urologo che ha visitato Provenzano nel suo rifugio. Di questo ha parlato il mafioso Pastoia ,anche lui stranamente morto suicida in carcere;
3) non ci è mai stato detto dove si trovava Attilio giorno 11 Febbraio alle ore 9,30 circa ,quando ci ha fatto l’ultima telefonata (anche questa misteriosamente sparita dai tabulati )
4) fino ad oggi non ci è dato sapere cosa faceva Attilio a Marsiglia nello stesso periodo dell’intervento alla prostata per via laparoscopica di Provenzano. Eppure sarebbe stato facile esaminare i tabulati perchè lui ci ha fatto due telefonate,dove ci diceva che doveva assistere ad un intervento. Chi era il paziente ? E ,soprattutto Attilio era solo o con qualche collega dell’Ospedale Belcolle ?
5) come ha fatto Attilio a deviarsi il setto nasale ed a farsi venire quella violenta emorragia dal naso e dalla bocca,cadendo su un piumone?
Un anno per sapere se c’è un’archiviazione o meno. Un anno per capire se sciogliere alcuni dubbi o meno. E l’ombra di “zi Binnu” che ancora aleggia su questa storia. Un giovane chirurgo e il grande boss. Chissà, forse, uno scambio di vite:uno muore e l’altro continua a vivere da latitante e da capo di Cosa Nostra.