(Tratto da Calabria Ora – 24 febbraio 2010)
«Nel terremoto morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza». Che però durava solo per poco perché: «Passata la paura la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie, e la ricostruzione edilizia per opera dello stato, a causa di brogli, frodi, furti, camorre, truffe, malversazioni d’ogni specie, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale».
Questo scriveva Ignazio Silone, nel 1965, in “Uscita di sicurezza” in cui raccontava il terremoto della Marsica del 1915. Cioè 100 anni fa. Ma con quelle parole si potrebbe iniziare qualsiasi editoriale di oggi.
Perché quello che sgomenta di più le persone non è la catastrofe ma il dopo. Considerando che a Messina e ad Avezzano ci sono ancora le baracche del terremoto di 100 anni fa e che il paese frana ogni giorno ad ogni pioggia più insistente e abbiamo una Protezione civile che non è più quello per cui era nata (almeno quella che aveva ideato Zamberletti) ma che è diventata il centro di smistamento di appalti per grandi opere, grandi eventi e qualche reale emergenza.
Senza voler condannare nessuno per via mediatica, come qualcuno ha detto nei giorni scorsi, rimane comunque la domanda di come sia possibile che una persona che gestisce la protezione civile per 15 anni, uomo apprezzato da ogni parte politica, si sia “lasciato sfuggire qualcosa”.
Come diceva Eugenio Scalfari, sere fa a “Ballarò”, un direttore di giornale risponde di ogni riga di un suo giornalista e perché a lui, che incarna in sé la figura di controllore e di controllato, può essere sfuggito qualcosa? E perché non ne deve rispondere? Forse perché questo paese è tornato ai tempi di Silone che scriveva «prima c’è Dio, poi ci sono i Torlonia, poi le guardie dei Torlonia, poi i cani dei Torlonia, poi il nulla, poi il nulla, poi i cafoni».
La cosa che, da cittadina, vorrei chiedere è perché dopo 15 anni una frana è sempre un’emergenza come se il Paese non fosse stato monitorato in questi anni. Anche l’alluvione del Tevere è stata una cosa che ha lasciato senza parole. È inutile dire che si sono gestiti bene i funerali del Papa (in concorso con il Comune di Roma) se poi le mappature dei rischi idrologici e sismologici non aiutano a nulla.
È vero si è costruito indistintamente ma forse la Protezione doveva e poteva intervenire. Le lacrime di coccodrillo, di Bertolaso, Lombardo, Loiero ed altri non servono ai cittadini che qualche colpa ce l’hanno anche loro. Forse la Protezione civile è andata in tilt perché voleva gestire troppe cose e chi troppo vuole…
Fortuna che non è diventata una Spa perché nel Paese tutto si sarebbe trasformato in emergenza. Dalla preparazione dell’America’s Cup (primo esempio di gestione di eventi da parte della Protezione civile “stroncato” da arresti che hanno portato alla luce spartizione di appalti, forniture fittizie in questi giorni di pioggia a Trapani si sono intasate le fogne realizzate proprio per il grande evento.
E soprattutto ce ne sono tracce nelle relazioni della Commissione antimafia del periodo, quindi qualcuno qualcosa l’aveva già vista) fino alla preparazione per il 150esimo dell’Unità d’Italia, attraverso L’Aquila, Giampilieri, Viareggio…
Forse da vero uomo delle istituzioni invece di rinunciare, in segno di rispetto e pudore, ad un premio che l’Abruzzo gli aveva concesso per il suo contributo, e volare in Calabria a decidere quanti soldi stanziare e in quanto tempo ricostruire avvicinando le persone come, forse, solo Gesù (e il grande Silvio) avevano fatto, forse, per pudore dovrebbe lasciare i suoi incarichi e far sì che la magistratura faccia il suo corso.
Ricordando che quella magistratura che oggi tanto si insulta è la stessa
a cui si inneggia quando si prendono i latitanti. Poche idee ma confuse come diceva Flaiano.