Secondo uno studio dell’Eures solo nel 2009 ci sono stati 357 suicidi per disoccupazione. Un bollettino di guerra che rischia di aggravarsi.
357 suicidi per disoccupazione. Uno al giorno, praticamente. Questi sono i dati emersi da una ricerca Eures (il centro studi economici e sociali) sull’Italia in crisi. E risalgono al 2009 ma anche nel 2010 e 2011 non è andata molto meglio delineando una fotografia dell’Italia che evidenzia come al sud i suicidi siano in maggior numero di lavoratori rimasti disoccupati mentre al Nord si trovano più gli imprenditori che si uccidono.
Cosa succede nel nostro Paese? Si vedono gli effetti dell’onda d’urto della crisi. E’ un po’ come vedere un territorio dopo il passaggio di uno tsunami. Vedi le case distrutte, i corpi a terra e si fa il conto delle vittime.
Questa è l’Italia di oggi. La crisi iniziata nel 2008 incomincia (perché ci dobbiamo aspettare altro) a far vedere i propri colpi adesso. Le aziende fino a poco tempo fa avevano ancora qualche margine di manovra, oggi hanno dato fondo ad ogni loro riserva. E’ di dicembre 2011 l’intervista di un imprenditore della zona di Mestre che dichiarava di non aver potuto pagare le tredicesime ai suoi operai e di vedersi costretto a breve alla chiusura. Lo scorso anno era ricorso ad un fido in banca per poter pagare i lavoratori e permettergli un Natale decente. Questo anno niente fido nonostante debba ricevere dallo Stato ( o meglio da Enti Locali del Veneto) il pagamento di una fornitura risalente a alla prima parte del 2011. Perché gli Enti e lo Stato oramai pagano con oltre 6 mesi di ritardo e questo perché prima pagano e prima le loro casse si vuotano. Insomma un cane che si morde la coda e chi non ce la fa a sostenere questo corto circuito soccombe.
Una lunga scia di morte e desolazione. Torniamo indietro all’ottobre 2010 un trentottenne laureato con merito all’Università Cattolica di Milano e disoccupato, si è lanciato da un treno in corsa verso Ostuni, sua città d’origine . Aveva tentato diversi concorsi per un lavoro stabile, aveva svolto lavori occasionali, aveva lavorato nelle campagne pugliesi sino ad approdare ad un call center a Milano. E poi aveva perso anche questo lavoro e l’unica soluzione che ha intravisto è stata la morte.
Nell’aprile 2011 un quarantenne che da tempo non riusciva a trovare lavoro, sposato e padre di due figli, si è ucciso lanciandosi dal punto più alto del cavalcavia che collega Agrigento con Porto Empedocle.
A Catania a maggio, un trentottenne si è tolto la vita gettandosi in mare con la sua auto. E non ci vergogna nemmeno più di morire o di non farcela, tanto che il ragazzo lo aveva annunciato su Facebook.
E poi ancora a giugno un giovane giornalista pubblicista del brindisino si è impiccato nella casa dove abitava con madre e fratello.
Mentre al Nord abbiamo 30 casi di suicidio, solo in Veneto, dal 2008. Come il caso dell’imprenditore padovano che si è ucciso perché non riusciva a riscuotere i suoi crediti privati e quelli pubblici (che ammontavano a circa 300 mila euro).
Il bollettino di questa guerra racconta che negli ultimi giorni ben cinque gli imprenditori si sono tolti la vita.. A Trani un piccolo commercianti di 49 anni si è impiccato nel box che utilizzava come deposito del suo piccolo negozio di climatizzatori. È successo a Trani. Antonio era vittima dell’usura a cui era ricorso per tenere in vita la sua piccola attività.
A Robecco sul Naviglio un piccolo imprenditore di 64 anni si è sparato un colpo alla tempia, nel suo furgoncino all’ingresso della ditta individuale.
A Catania il titolare, quarantasettenne,di una concessionaria di moto Honda, si è tolto la vita ingoiando un’intera scatola di antidepressivi.
Ad Ascoli Piceno un agricoltore si è ucciso impiccandosi nel magazzino dove teneva gli attrezzi per i campi. “Temeva di non farcela, di non superare le difficoltà del 2012”, hanno raccontato i parenti.
E ancora un pensionato di Bari di 74 anni, gestore di alcuni negozi in città, si è ucciso gettandosi dal quarto piano del suo palazzo, in un’elegante zona del capoluogo pugliese.
Le difficoltà, la paura di non farcela, la sensazione di non avere un futuro, la perdita totale della propria stima. Queste sono le sensazioni più forti che prova chi vive la realtà della crisi di oggi dove un sistema bancario tarato più sulla grande azienda che sulla piccola e una rete criminale ricca e potente stringono il cappio intorno a chi lotta ogni giorno per sopravvivere.
Un punto importante è anche legato all’inadeguatezza di reggere il peso di un tracollo così improvviso e devastante. Eravamo abituati ad una società opulenta dove tutto era possibile e non si doveva rinunciare a nulla e siamo stati catapultati in un mondo dove non si getta più nulla. Dove si fa la spesa con il contagocce. Dove il pane, che una volta si gettava anche fresco, viene consumato fino all’ultima mollica.
Avevamo dimenticato la miseria che invece è tornata tra noi, forse con un abito diverso ma è sempre lei.
E se al Nord non reggono quelli che fino a ieri erano piccoli proprietari con le spalle coperte al sud muore chi non riesce a portare finanche un pezzo di pane a tavola.
Due mondi sopraffatti dalla stessa crisi e non vale consolarsi con gli studi che dicono che al sud si supererà meglio questo momento perché si è più abituati ad avere poco e a stringere la cinghia!
(pubblicato su www.malitalia.it e su www.lindro.it)