Cisgiordania e Gaza: la dottrina del “muro di ferro”, un nome che viene dal passato

Fu elaborata da uno dei padri della destra revisionista sionista, Ze’ev Jabotinsky, giornalista e scrittore, nel saggio del 1923 “Il Muro di ferro (noi e gli Arabi)”, e poi fatta propria nei fatti dalla maggior parte della classe politica di Israele.

“All’improvviso sono apparsi in cielo elicotteri Apache e droni, sparavano su tutto. Sei uccisi sono stati colpiti nei primi quindici minuti, in gran parte civili. Quelli che erano in strada hanno cercato un riparo dalle mitragliate. Poi, dopo gli attacchi dal cielo, sono arrivati i blindati con i soldati. Quindi le ruspe militari, che come sempre, hanno distrutto strade e danneggiato edifici”. Questa una testimonianza di Amer Nofal riportata da Michele Giorgio su Il Manifesto del 22 gennaio scorso.E’ l’inizio dell’operazione “Muro di ferro” a Jenin in Cisgiordania. Un nome di impatto, evocativo della forza e della potenza di Israele. Un nome che ha una storia lunga e che porta con sé un significato militare e politico che definisce anche la sostanza dell’operazione. Una vera e propria dottrina che fu elaborata da Ze’ev Jabotinsky, giornalista e scrittore, nel saggio del 1923 “Il Muro di ferro (noi e gli Arabi)“, e successivamente fatta propria nei fatti dalla maggior parte della classe politica di Israele. Fu leader del sionismo revisionista e ammiratore di Mussolini, e scriveva che la colonizzazione sionista “poteva svilupparsi solo dietro un muro di ferro che la popolazione nativa palestinese non potesse violare”. Pensava inoltre che tra due diritti ritenuti eguali, sarebbe intervenuta la forza nel determinare il vincitore.

Nel tempo per la destra israeliana, il “muro di ferro” è diventato il sinonimo dell’uso della forza, della conquista territoriale, della negazione di uno Stato palestinese e dell’aspirazione al “Grande Israele” dal Mediterraneo al fiume Giordano. Il segretario politico di Jabotinsky era Benzion Netanyahu, padre dell’attuale premier.

La sua visione si opponeva al “sionismo socialista” di Ben Gurion ma dall’inizio dei governi Netanyahu (1996) la visione dello scrittore e giornalista nato ad Odessa, è sembrata sempre più prendere piede tanto è vero che non si può non vedere il legame tra quanto scritto nel lontano 1923 con la negazione di una soluzione diplomatica del conflitto. Da notare poi come negli ultimi 15 anni di governo Netanyahu non sia mai stato considerata l’idea di uno Stato palestinese.

E mentre con l’accordo sulla tregua a Gaza la diplomazia internazionale ha sperato nell’avvio di un vero processo di pace e ricostruzione di Gaza le ultime operazioni in Cisgiordania potrebbero portare a pensare che l’attuale governo voglia proseguire il conflitto.

I territori occupati 

La Cisgiordania fu assegnata allo stato arabo dal Piano di partizione della Palestina ma venne annessa da parte della Transgiordania (la Giordania attuale) dopo la guerra del 1948.
Nel 1967 passò sotto l‘amministrazione militare israeliana. Come risultato della “legge dell’enclave”, vennero applicate vaste porzioni della legge civile israeliana agli insediamenti israeliani e ai residenti israeliani nei territori occupati. Dalle lettere di riconoscimento dell’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) del 1993, la maggior parte della popolazione palestinese e delle città passarono sotto la giurisdizione dell’Autorità Nazionale Palestinese, con solo un parziale controllo militare israeliano, sebbene Israele abbia spesso ridistribuito le sue truppe e ripristinato la piena amministrazione militare in varie parti dei due territori. Il 31 luglio 1988, la Giordania rinunciò alle sue rivendicazioni nei confronti della Cisgiordania a favore dell’OLP. 
Nel 2000, il governo israeliano iniziò a costruire delle barriere all’interno della Cisgiordania, separando Israele e molti dei suoi insediamenti, nonché un numero significativo di palestinesi, dal resto della Cisgiordania. Il governo dello Stato di Israele approvò un piano per costruire una barriera di separazione la cui lunghezza totale sarebbe stata approssimativamente di 760 km., costruita principalmente in Cisgiordania e in parte lungo la linea di armistizio del 1949, detta “Linea verde” tra Israele e la Cisgiordania palestinese. Il 12% della Cisgiordania rientrò nel territorio israeliano. 
Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia emise un parere consultivo affermando che la barriera violava il diritto internazionale e che “Israele non può fare affidamento su un diritto di autodifesa o su uno stato di necessità al fine di precludere l’illecito della costruzione del muro”. Il governo israeliano si giustificò per la costruzione di questa barriera,  con le parole del primo ministro Ehud Barak che affermò che “il muro è essenziale per la nazione palestinese al fine di promuovere la sua identità e indipendenza nazionale senza dipendere dallo Stato di Israele”. La Corte Suprema israeliana, in qualità di Alta Corte di Giustizia, dichiarò che Israele aveva occupato le zone della Giudea e Samaria, in belligerante occupazione, dal 1967. La corte dichiarò anche che erano applicabili le disposizioni normative del diritto internazionale pubblico in materia di occupazione belligerante. Vennero citati i regolamenti concernenti le leggi e le usanze della guerra terrestre, della convenzione dell’Aja del 1907 e la quarta convenzione di Ginevra, relative alla protezione delle persone civili al tempo della guerra del 1949. 
La barriera ha molti effetti negativi sui palestinesi, tra cui: libertà ridotte, chiusura di strade, perdita di terra, maggiore difficoltà nell’accesso ai servizi medici ed educativi in Israele, accesso limitato alle risorse idriche ed altri effetti economici. Per quanto riguarda la violazione della libertà dei palestinesi, in un rapporto del 2005, le Nazioni Unite hanno dichiarato che: “ … è difficile esagerare l’impatto umanitario della barriera. Il percorso all’interno della Cisgiordania mette in pericolo le comunità, l’accesso delle persone ai servizi, mezzi di sussistenza e servizi religiosi e culturali. Inoltre, i piani per l’esatto percorso della Barriera e i punti di attraversamento spesso non vengono rivelati completamente fino a pochi giorni prima dell’inizio della costruzione. Ciò ha portato ad un considerevole stato di ansia tra i palestinesi sul futuro delle loro vite… La terra tra la Barriera e la Linea Verde è una delle aree più fertili della Cisgiordania; vi abitano 49.400 palestinesi che vivono in 38 villaggi e città.”Ed è una dichiarazione di 20 anni fa! 
La comunità internazionale considera la Cisgiordania come la terra riservata ai palestinesi che vi risiedono, e guarda alla presenza israeliana come a quella di una forza di occupazione.
La visione di Israele sulla situazione dei territori è la seguente:
1. Il confine orientale di Israele non è mai stato definito da nessuno.
2. I territori contesi ( così li definiscono)non hanno fatto parte di nessuno stato (l’annessione giordana non fu mai riconosciuta).
3. In base agli accordi di Camp David con l’Egitto, l’accordo con la Giordania del 1994, gli accordi di Oslo con l’OLP(1993) lo status finale dei territori sarà fissato solo nell’ambito di un accordo permanente tra Israele e i palestinesi, che a distanza di oltre 30 sembra ancora lontano dalla realizzazione
 

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