Nel quartiere Badia a Castelvetrano, provincia di Trapani, sorge la casa del latitante Matteo Messina Denaro. Una casa in cui vive la madre Lorenza e in cui fino a qualche mese fa hanno vissuto la compagna e la figlia del boss. Aprire un’attività in questo luogo, anzi proprio in questa zona può essere una scommessa con il destino, che prima o poi verrà a bussare alla tua porta.
E un giorno, per la precisione l’11 aprile del 2012, qualcuno bussa alla porta di Elena Ferraro amministratrice della casa di cura Hermes. L’attività, come racconta Elena, nasce nel 2005 e per anni non ha avuto richieste, intimidazioni. Tutto tranquillo.
Elena non è di Castelvetrano viene da Montevago paesino di 3000 anime in provincia di Agrigento. Lei è laureata in filosofia ma la clinica Hermes è stata un modo per non lasciare la sua terra.
La tranquillità della vita di Elena e della clinica si interrompe con la visita di Mario Messina Denaro,cugino del boss. Un attimo la presentazione “Buongiorno è lei la responsabile? Sono Messina Denaro”. E’ l’inizio di una trattativa, chiamiamola così, per “estorcere” soldi alla clinica sotto forma di una sovrafatturazione e di un accordo con un’altra clinica compiacente,la IGEA di Partinico, e probabilmente con un’altra che ha sede a Ravenna (come si evince delle intercettazioni riportate nell’ordinanza di custodia cautelare che hanno portato all’arresto di 30 persone lo scorso 13 dicembre nell’ambito dell’operazione Eden).
“Mario Messina Denaro viene arrestato per il delitto di cui agli arti. 56, 629 c.p. commi le 7 DL. 152/91 convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203,per avere, avvalendosi delle condizioni di cui all ‘art. 416 bL c.p. e al fine di agevolare / ‘attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, mediante minaccia nei confronti di FERRARO Elena (e consistita nel prospettarle la necessità dell ‘associazione mafiosa di costituire riserve di denaro da destinare al sostentamento dei familiari dei detenuti in carcere), posto in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere la predetta, quale presidente del consiglio di amministrazione della Hermes srl di Castelvetrano, a emettere o fare emettere fatture di importo superiore alle prestazioni sanitarie svolte dalla società e a consegnargli le somme di denaro equivalenti alla differenza tra l’importo fatturato e quello effettivamente
dovuto, alfine di procurare a se stesso e ad altri ignoti appartenenti all ‘associazione mafiosa denominata Cosa nostra un ingiusto profitto con altrui danno. Evento verificatosi per cause indipendenti dalla sua volontà.In Castelvetrano tra l’l11 aprile 2012 e il 14giugno 2012.………..”
Elena Ferraro è impaurita dopo la visita (dagli atti si evidenzia inoltre che uno dei dipendenti conosceva bene il cugino del boss). Gli viene proposto un accordo per cui la clinica Hermes fa una serie di esami ai pazienti che vengono lì convogliati, non li fa pagare e manda invece la fattura alla clinica IGEA logicamente con un sovrapprezzo. Il Messina Denaro alle domande della Ferraro su cosa fare di questi soldi gli risponde “li mette da parte” e alla domanda “lei chi è un mediatore?” lui risponde “…Il CAPO di tutto sono …”. Così come le spiega che “ama dare soldi”(dobbiamo dare i soldi) per poi spiegarle che servono per le famiglie di chi è in carcere.
Lei oppone il fatto che “come faccio a fatturare in più…..” , la risposta è netta “questo è un problema suo. Ci pensi”.
(dagli atti dell’ordinanza
ELENA. io metto sessanta euro … quindi che succede che io incasso sessanta euro … quindi giusto?
MAR/O: certo
ELENA: la Hermes incassa sessanta euro
MARIO: esattamente
ELENA. perfetto e poi che faccio con questi soldi io?
MARIO: in più?
ELENA. questi soldi in più
MARIO: li mette da parte … )
Elena piange, si mette le mani nei capelli. Sono giorni difficili. E’ spaventata, ha anche tanta rabbia dentro. Parla con i soci. Parla con loro del fatto che bisogna denunciare, non si può tacere. Si attivano per un contatto con la Questura di Trapani. La decisione è presa. Anche in casa di Matteo Messina Denaro si può parlare.
I suoi vicini non se lo aspettavano anche se gli attesti di solidarietà sono tanti. Ma anche molte amicizie sono sparite dalla sera alla mattina. E anche su solidarizza Elena si pone una domanda “quanti lo pensano realmente?”.
Un “gesto” storico è stato definito il suo. Lei non la pensa così. Sa che non è semplice in un luogo così permeato dalla presenza del latitante ma, dice “ io sono sta educata alla legalità”. Sa che è difficile cambiare la mentalità in luogo dove si va dal capo mafia a chiedere aiuto anche per la macchina rubata. Ma si può dire di no. E’ preoccupata ma si sente tutelata dice “Lo Stato c’è e dobbiamo dire che non si è soli. Il 90% ancora ha paura o sfrutta la mano mafiosa per crescere”. Ma si può dire di no. Lo ripete tante volte mentre ringrazia le associazioni antiracket che le sono state vicine. Si può dire di no a 38 anni. Si può dire di no anche se donna. Lo si può fare nel cuore di Castelvetrano, nelle vicinanze della casa del boss.
(pubblicato su www.malitalia.it)