Monti della Laga, versante teramano, anno 1864, nasce qui Giovannantonio Aprati, mio nonno. Chissà come la famiglia Aprati sia arrivata in questo posto sperduto dell’Abruzzo. Infatti il nostro cognome si trova solo a Teramo (praticamente la nostra famiglia), c’è un nucleo a Frosinone e poi una decine di famiglie a Chicago, a Miami e pare ci sia una pizza “Aprati “ in Brasile… Non sono mai venuta a capo di questo tranne che il cognome è sabaudo della zona di Ivrea. Un mio amico dice che abbiamo gli occhi dei logobardi chissà… ma non è di questo che voglio parlare. Voglio raccontarvi di questo nonno forte e testardo che un giorno decise che i suoi figli non potevano vivere lontano dalle vie di comunicazione, chiusi nella montagna. E così decide di costruirsi una casa su quella che era, ed è, la strada che porta a Roma. Che lui percorreva a piedi per andare a fare il giardiniere del Re (ed ha anche dedicato una poesia alla bella Rosina, chissà dove è andata a finire!). E così lungo la strada costruisce la sua casa pietra su pietra. Qui muore sua moglie Virginia, la nonna che non ho mai conosciuta, se non sbaglio dando alla luce l’ultimo dei fratelli Aprati, zio Vittorio.
Quella frazione costituita dalla sua casa e da qualche altra piccola costruzione prende il suo nome e lui diventa Cavaliere del Re! Poi la casa diventata un emporio, l’unico della zona, è il punto di riferimento di tutti quelli che abitano nella sperduta montagna dei primi anni del ‘900. Acquistavano al ghetto a Roma (e mio padre mi ha testimoniato cosa è stata la notte del 16 ottobre del 1943). Una famiglia attiva. Ricordo questo nonno, morto a cento anni, con il bastone in mano o sul campo da bocce costruito davanti casa. Un mondo fatto di cose da fare, cambiare. Un mondo fatto in mezzo alla gente e per la gente tanto che nel 1946, dopo aver portato autocarri in Basilicata mangiando pane e alici, dopo aver preso la malaria nelle paludi pontine, dopo aver fatto il tassista con Aldo Fabrizi ed aver conosciuto il mondo della Rupe Tarpea a Roma, mio padre fondò la prima ditta di trasporto pubblico del dopoguerra. La prima che collegava L’Aquila a Teramo e a tutte le zone di montagna. Allora l’autobus era il “postale” perché portava la posta, le medicine, il pane.
Era il contatto con il mondo. A Pietracamela, altro paese di montagna sotto il Gran Sasso, qualcuno mi ha raccontato quando l’autobus arrivava con i viveri per chi era ancora sfollato nel dopoguerra. E c’è chi mi ha raccontato di aver visto il mare per la prima volta con i nostri mezzi. C’è chi si è conosciuto e sposato sugli autobus di “Aprati & Trentini (come la mia amica Maria Luisa e suo marito Pasquale). Chi si è laureato, chi ha avuto modo di andare a scuola (l’attuale vice presidente della provincia di Roma, Sabatino Leonetti, racconta “Ho frequentato le scuole medie a Montorio al Vomano e ogni mattina scendevo a piedi fino al bivio di Fano Adriano (4 km) dove prendevo l’autobus di Aprati.
D’inverno a volte le nevicate raggiungevano anche il metro di altezza”. C’è un dirigente della Regione Abruzzo che mi ha raccontato quando attraversando un valico di 1400 metri, il Passo delle Capannelle, tra Teramo e L’Aquila, gli autisti hanno salvato due maestre rimaste sepolte nella loro macchina,per una tormenta di neve.
E poi io e mio fratello siamo figli di questi autobus perché nostro padre ha incontrato nostra madre proprio su uno di questi. Lei saliva la mattina vicino L’Aquila per andare a vendere il latte al mercato e così è scoccata la scintilla durata fino alla morte di papà ed anche dopo. Ci sono foto degli autobus nella nevicata del 1956, non si ritrovano le foto del Giubileo del 1950 con le galline sopra al tetto e le valige legate con lo spago. O le foto di Fernandel sul set “Il ritorno di Don Camillo” girato al km 19 della Strada Statale 80 che collega L’Aquila a Teramo e passando vedi la strada che Don Camillo imbocca per il paesino sperduto a cui è stato mandato “in castigo, uguale e identica come è nel film. Un mondo che non c’è più. Che vive nei ricordi dei pochi anziani rimasti o di chi quell’epoca l’ha vissuta. Ricordo il sapore dei mitici cioccolatini Majani che la Fiat mandava ad uno dei suoi migliori clienti o la sensazione di sedermi al volante e spostare un FIAT 343, una novità assoluta per quel periodo.
Raccontare questa storia è come ripercorrere un secolo. Sento il suono degli Spitfire (che mio padre mi riproduceva) che attraversano la gola tra Gran Sasso e Laga, sento la voce di mio padre che mi dice che avevano scavato la strada per nascondere le vettovaglie ai tedeschi che battevano in ritirata. I suo amici partigiani morti a Bosco Martese ma anche il giovane collaborazionista, di 17 anni, ucciso dai suoi amici.
Ricordo che eravamo gli unici ad avere il televisore ed il sabato c’era la fila a casa come per il telefono.
Ricordo che mio nonno agli del ‘900 ha costruito una casa per dare un futuro diverso ai suoi figli e quella frazione, dopo oltre cento anni, è ancor un punto di riferimento per le zone montane limitrofe. C’è la banca, c’è la farmacia, ci sono 2 bar, c’è un negozio alimentare, c’è una trattoria, c’è la pompa di benzina, c’è il meccanico. Diciamo che ho avuto un nonno previdente e “preveggente” e nel bar del paese, dove di mangia una pizza speciale, c’ è ancora una sua foto dove controlla i tedeschi che costruiscono il ponte, ad un’unica campata, che collega Aprati ai Monti della Laga. E c’è anche la foto di un mitico maiale che vinse un premio speciale per il suo peso.
Che peccato avere perso tanti racconti, storie e ad aver perso atti documenti. Rimane la carta intestata della Fratelli Aprati & Trentini, un orario estivo e i soldi cartacei, dall’inizio del secolo, al 1977 (anno della morte di mio padre) che raccontano come è cambiata la vita. E comunque ogni tanto incontro chi su quegli autobus è vissuto e cresciuto. Ricordo che quando la Regione espropriò la nostra attività, per farne una pubblica regionale, i nostri dipendenti avevano vergogna a farci pagare il biglietto ed una volta salendo sull’autobus a Roma un dipendente (il più giovane che avevamo assunto aveva si o no 17 anni) mi presenta al suo collega e dice “tu non sai chi è lei. Lei è la mia padrona (ma non in senso dispregiativo) io sono cresciuto con loro. È stata la mia famiglia”. E il caso ha voluto che nel mio lavoro in televisione abbia ritrovato chi ha gestito il passaggio della nostra ditta di trasporti a quella regionale! C’è sempre un filo rosso che lega il percorso della nostra vita.
Ricordo il sapore della merenda mangiata con gli autisti, pane e frittata o pane e mortadella. Lì tutti insieme, senza diversità e con tanto calore. La loro vita era la nostra vita. Rimane l’insegnamento di mio nonno e mio padre a “guardare avanti sempre” e pensare che intorno a noi ci sono persone non cose… e che ogni giorno va vissuto per intero perché domani potremmo non esserci, Non perdere nessuna sensazione che ci passa accanto pensando che tanto la rincontreremo. Ricordo anche che alle 13.30 a casa c’era il coprifuoco perché mio padre doveva sentire “Alto gradimento”, Arbore e Boncompagni per lui, nato nel 1903, erano il meglio della produzione radiofonica (io li capivo molto meno di lui!).
Oggi vivo a Roma dopo tanti anni di girovagare in Europa e nel mondo tra la Cina e gli Stati Uniti, l’Australia, la Germania o la Bosnia. Sempre alla ricerca di qualcosa, sempre in viaggio (e pensare dovevo fare il medico che sempre un viaggio è, ma nel copro umano!). Dei miei avi mi è rimasta quella ricerca sempre di altro, quella curiosità che è il motore di ogni cosa che faccio, una nuova trasmissione, l’insegnamento in aula o un nuovo documentario. Di loro mi è rimasta la capacità dell’ascolto e la volontà di raccontare tutto quello che mi succede.
Ho un grande rimorso non aver raccolto tante cose durante il mio cammino, Ma non si può riuscire in tutto (la perfezione non è di questo mondo) e prendendo qualche “treno” ho lasciato a terra qualche bagaglio… Succede.
E la la vita ti gioca sempre qualche scherzo. Mio padre amava Roma, ci era cresciuto. I miei racconti da ragazzina erano pieni di Fabrizi, Petrolini, Totò con il corollario della “dolce vita”di Via Veneto & co. raccontatati da un cugino di mia madre, poeta sceneggiatore, amico di Fellini, Mastroianni e Flaiano.
Non voglio credere al destino ma esistono le famose “sliding doors” che ti portano da una parte o dall’altra. La prima volta che sono arrivata a Roma, perché mia madre doveva fare un concorso al Ministero dell’Istruzione, mio padre mi ha portato a Campo de’ Fiori per farmi conoscere Giordano Bruno arso vivo perché predicava la tolleranza. C’era una bancarella verde all’angolo (c’è ancora) e lui mi regalò un mazzetto di viole.
E poi ho visto San Pietro e Castel Sant’Angelo. Io oggi vivo proprio in quel quadrilatero! E continuo il mio viaggio…
[nggallery id=20]